Quantcast
Channel: Aciribiceci » If Six Was Nine
Viewing all articles
Browse latest Browse all 2

Operette immorali 9: Bildungsroman

0
0

È una fase, ci siamo passati tutti. Sì, anche tu. Ma sì, dai, da ragazza ci sarai passata pure tu, no? Come cosa vuol dire? Vuol dire che è in quella fase là. Esatto. Contesta le regole, vuole fare tutto a modo suo. È l’età. L’età, sì. No, non ci possiamo fare niente. Certo che è in quell’età lì. Dai che mi hai capito. Dici che non c’entra? Non lo so, non so dirti. Qua la situazione sembra questa. A me un po’ ricorda me stesso da giovane. Come in che senso? All’università, è chiaro. Te la ricordi anche tu l’università, no? No? E certo, tu sei nata adulta e responsabile. Guarda, quando fai così mi dai sui nervi, proprio. Veramente, a volte me lo chiedo: ma lei è uscita dalla pancia già madre e moglie? Sì, sempre, certo, tutta la vita così sei stata. Sempre la maestrina hai fatto. Senti, comunque è inutile che la prendi male. Sforzati un minimo di immedesimarti, no, perché altrimenti non serve a niente che mi fai domande. Sì, va bene, hai ragione, ma se ti irrigidisci così, se ti irrigidisci, se ti irrigidisci così non ci capisci niente. Ma sì, dai, te l’ho detto, ci siamo passati tutti, sì, anche io e te. Ok. Va bene. Ok. Ho capito. D’accordo, tu no, come vuoi tu. Io sì, però, questo lo posso dire? Oh, finalmente. No, non sei cambiata neanche di una virgola. Noiosa eri e noiosa sei rimasta. Comunque se fai così è meglio se chiudiamo subito, capito? No, mi blocchi in continuazione. Eri tutta preoccupata, no? Vero? Giusto? Volevi sapere come vive? E te lo sto dicendo, come vive. Perché, cosa volevi sapere invece? Volevi sapere se sa badare a se stesso? Ho capito. E allora perché non mi fai raccontare niente? No, fai solo polemica. Lo so, lo so, lo sappiamo tutti che tu sei diversa. Sì, lo sei sempre stata, va bene. Sì, sono in camera sua. Esatto. In questo momento sono al centro esatto di camera sua. Di nuovo? Scusa, ma io non è che ti capisco bene, guarda. No, tu mi devi dire una cosa: ti interessa sapere come stanno le cose? Oppure vuoi andare avanti a rimproverarci tutti e due come se fossimo una persona sola? No, perché non sembra proprio, guarda. Oh, va bene. È una fase. Una fase, sì, una fase. Gli passa, stai tranquilla che prima o poi gli passa. È un’esperienza che deve fare e basta. Andare a vivere per conto tuo è così. Sì, sì, all’inizio abiti nel caos, poi piano piano cresci e ti rendi conto che così non puoi andare avanti. L’ho fatto anch’io, certo. Certo, certo, dopo un poco, un poco alla volta, poi impari a gestire le responsabilità. Sì, ma è una cosa che viene col tempo. Te lo ricordi quando venivi da me all’università? Ho capito, ho capito. Dici che il dna non mente? Il dna? Deve essere di famiglia, dici? Lui è tale e quale a me? Il mio ritratto sputato? Va bene, guarda, neanche ti rispondo, lasciamo perdere. Parlare con te è impossibile. Posso continuare? Qua è una bolgia, esatto. Sì, no, non è una casa, è l’inferno. Sembra che sia esplosa una bomba, perfetto. Un cataclisma. Uno tsunami. Hai capito benissimo. No, non la può né pulire né riordinare. Se la brucia e la ricostruisce di nuovo fa molto prima. Hai capito benissimo. L’altra mattina mi ha lasciato da solo qui in casa e verso le undici è entrata la signora delle pulizie. No, con questo disordine non può fare granché, poverina. Mi ha fatto pena, guarda. Girava con l’aspirapolvere intorno al casino che c’era per terra. Non lo so, forse a toccare le cose per spostarle aveva paura di diventare radioattiva. Ti dico che ero imbarazzato. No, qua non ci vuole una domestica, una domestica non serve a niente. Qua ci sono i nemici dell’igiene che hanno schierato l’esercito. Ci vuole il napalm, ci vuole. Che brutte figure che ci fa fare. Ma dove abbiamo sbagliato? Come famiglia, intendo, dov’è che abbiamo sbagliato? Come? E io come faccio? Come ci resisto qua dentro? Eh, guarda, sarà che io mi so adattare un poco meglio di te, che ti devo dire. Ma sì. Ma certo. Ma è normale. Ma è ovvio che lo rimprovero. È da quando ho messo piede qua dentro che lo sgrido in continuazione. Senti, guarda, sono tre giorni che gli faccio la testa come un pallone. Lo sto rintronando di discorsi. Sì glielo spiego con calma, certo. No, non ascolta. Fa la faccia annoiata. Sì, a volte glielo dico pure arrabbiato. Sì che alzo la voce. E lui? Lui niente, non ci sente. È nella fase della sfida. Sì, della sfida. Più io lo riprendo, più lui lo fa apposta. Sì, sì. Praticamente mi sta dicendo: io vivo così, se ti va bene ti ospito con tutto il piacere, altrimenti te ne torni a casa tua e mi lasci in pace. E che devo fare? Sopporto, che devo fare? Ah, ci sguazzo? Ah, io qua dentro ci sguazzo? Ma la vuoi finire? Guarda che se sono qua in mezzo a questa discarica di casa è per te. No, a me di fare la spia non me ne fregava niente. Sì, la spia. Sto facendo la spia. Me l’hai chiesto tu di venire qua, te lo ricordi? Esatto, io preferivo di gran lunga non sapere, sottoscrivo in pieno. Comunque te l’ho spiegato, è nel pieno della fase matricola universitaria. Ma mi ascolti quando parlo? E che ci vogliamo fare? Niente, che ci vuoi fare? Sì, qualcuna. Una. Una c’è, sì. No, non lo so che in rapporti stanno. Ne ho vista più di una, comunque. No, parecchie non direi. Qualcuna, sì, boh, un paio, ne avrò viste un paio in tutto. Carine, abbastanza carine, non te lo so dire. Mi piacciono? Ma che domanda è? Ma chi se ne frega? Oh, e basta ora! Calmati, altrimenti non ti dico più niente. Sì, ce n’è anche una che viene a trovarlo molto spesso. Giovane, sì. Una ragazza, certo. Una ragazza giovane, è chiaro, tu conosci ragazze vecchie? Una hostess della Meridiana che viene a citofonare alle tre e mezza di notte. Alle tre e mezza, sì. E niente, per lui è normale, a quanto pare. No, sì, io ho fatto finta di dormire. Sì, sì, lui pensa che non me ne sia accorto. Guarda, una cosa imbarazzante. Avranno avuto la fame chimica e si sono cucinati una cena di gnocchi burro e salvia più o meno all’ora in cui il mondo fa colazione. Ma che fai? Piangi? Scusa? Ma che si droga! E dai che pure noi ai tempi nostri un paio di volte, no? Scusa, ma secondo te io non mi preoccupo? Ah no, certo, io sono diverso. Io me ne frego, è ovvio. Io sono come lui, giusto? E infatti. Infatti io alle tre e mezza mi punto la sveglia per ricordarmi che è l’ora di farmi una canna, giusto? Ma cose da pazzi. Ma ti rendi conto di quello che dici? Sì, direi che le mie responsabilità me le sono prese, eccome. Anni fa. Parecchi anni fa. Comunque me lo dici io che c’entro? Mi pare che non sia il mio turno, no? Sotto processo c’è lui o sbaglio? Comunque, il fatto è che noi non ci possiamo fare niente. Niente, esatto, non ci possiamo fare proprio niente. Possiamo stare a guardare e sperare che tra qualche anno ritorni quello di prima. Anzi no, hai ragione, quello di prima non ci torna più.  Eh sì, da ora in poi sarà diverso. Un altro. Sta diventando un altro, lo so. Si cambia, così va la vita. Intanto, per il momento, più gli dai contro e peggio è. Funziona così, sì. Dobbiamo lasciare che ci sbatta la testa da solo. No, non possiamo fare altro. La cameretta? La stanza da letto vuoi dire? Sì, è grande. Comoda, comoda. Sì, dormo con lui, in un divano letto, però. Non lo so chi ci dorme di solito, penso nessuno. No, la hostess mi sa che dorme direttamente con lui. Anche se ci vuole coraggio, comunque. Perché? E ora te lo dico io perché. Sì, se mi fai parlare, te lo dico. Mi fai parlare? Guarda, io le lenzuola dove dorme lui le ho viste: ormai c’è il calco del suo corpo. Esatto, come la sacra sindone. Anzi no, le sagome che traccia la stradale per terra quando c’è stato un incidente. Boh, non te lo so dire con precisione, saranno una ventina di metri quadri. Te l’ho detto che è grande. Ma che arredamento? Costoso? Ascolta, forse non hai capito bene: arredamento non ce n’è. A ogni parete c’è un poster attaccato con lo scotch da imballaggio. Fra le altre cose sto vedendo che non ce n’è neanche uno dritto. Di poster, sì. Mah, sono manifesti di film americani. No, che d’autore. Sì, diciamo che sono cult movie. Cult movie. Film che a qualcuno sono piaciuti moltissimo, insomma. No, è inutile che ti dico i titoli, tanto non li conosci. Come non li conosco io. E siamo vecchi, noi, che ci vuoi fare. Quello giovane, qua, è lui, che ci vuoi fare. Sul comodino ci sono una serie bicchierini di plastica usati. Sì, di plastica. Dentro ci sono i resti del caffè. Il tufo, sì. Guarda, ci sono tutti i resti di tutti i caffè che lui avrà bevuto a letto in questa stanza da quando l’ha presa in affitto. Che ne so chi glieli porta a letto. Sarà la hostess. Comunque non li buttano, né lui né lei. Se li conservano per ricordo, forse, che ti devo dire. Dentro ai bicchierini ormai c’è, c’è, guarda non lo so cosa neanche che cosa c’è. Aspetta che ora ne prendo uno. Ecco. Qua. Ci sono i muschi e i licheni, ci sono. Quelli della tundra subpolare, brava. Esatto. Se in questa stanza ci entra Pasteur scopre un altro vaccino, scopre. Sì, sì, va bene, tu raccapricciati, che tanto qua a fare il lavoro sporco ci sono io, giusto? I vestiti? Sì, i vestiti sono tutti nuovi. No, no, ho controllato, magari sì, quelli vecchi li ha lasciati lì a casa. Neanche uno, no, non mi pare. Si è rifatto il guardaroba. No, quando mai, solo pantaloni larghi, magliette con le scritte, scarpe da ginnastica. Giuro, giuro. Cose da skaterboard, o come caspita si dice, insomma. Gli ho visto un paio di jeans tutti stracciati che avevano ancora il cartellino del prezzo attaccato. L’equivalente di un mio stipendio. Mi rendo conto, sì che mi rendo conto. M’è preso un collasso. Per un paio di pantaloni rotti, poi.  Che ne so dove li prende i soldi. Magari spaccia. Ma dai, scherzavo. Porca miseria, dai. Che fai, ricominci? Scherzavo. Scher-za-vo. Saranno i btp. Comunque li tiene tutti su una sedia, i vestiti. Sembra il cassonetto della Caritas, questa sedia. Sì, quello per la raccolta dei vestiti smessi. Quello della San Vincenzo De’ Paoli. Quando è pieno e trabocca, esatto. Meno male che ogni tanto ridi. È ridicolo, hai ragione. Hai detto la parola giusta. Ridicolo. No, l’armadio c’è, certo che c’è, ma lui non lo usa. Guarda, una volta c’ho provato ad aprire l’armadio. Cos’è successo? Mi sono rotolate addosso delle specie di ecoballe, ecco cosa è successo. Le lenzuola, sì. Appallottolate. Saldate. Le une alle altre. Boh, penso dalla sporcizia. Appena ho aperto l’anta. No, guarda, non me lo chiedere perché non le so distinguere. Non lo so come fa. No, non c’è differenza con quelle che mette sul letto. Le considera sporche o pulite a seconda di come decide in quel momento. Comunque capita pure nel cuore della notte. L’armadio si spalanca da solo. Lui poi ce le rinfila dentro a pressione. Certi spaventi che mi sono preso. Lo specchio lo usa, quello sì. È cambiato, ti dico. Ti giuro. Adesso ci sta ore davanti allo specchio. L’ho visto con gli occhi miei. Fa almeno un’ora di prove prima di uscire. Prende i lembi della camicia e se li tira fuori dai pantaloni. Poi li stropiccia con le mani. No, guarda, non me lo chiedere, non l’ho capito perché. Si apre un paio di bottoni. Si spettina. Poi si ripettina. Poi si spettina di nuovo. Fa di tutto per sembrare trasandato. Sì, da quel punto di vista è un perfezionista. Sembra me appena mi alzo dal letto. E che ne so io? Forse a quel punto si ritiene soddisfatto ed esce di casa. Non ci puoi credere, lo so. Neanche io ci posso credere. Era Mister Eleganza Classica, è vero. Certo che mi ricordo. Gliel’ho messo io il soprannome. Dai, non farmelo ripetere ancora. È una fase. La deve attraversare. Punto e basta. Che faccio? Lo vesto io, come alle elementari? Ascolta, ancora non ti ho detto la cosa peggiore. Nel bagno, sì però fammi parlare, nel bagno, ti dicevo, nel bagno, oh ma la vuoi finire? Nel bagno c’è un silkepil. No, non è della hostess. Che vuol dire come lo so? Lo so e basta. È suo. Si depila le gambe. E pure il petto. Cose da impazzire, sì. Me ne sono accorto perché quando si sbottona la camicia davanti allo specchio non si vede neanche un pelo. No, non ne ha più. Neanche uno. Zero. Poi ho visto il silkepil in bagno e ho fatto due più due. Una cosa tristissima. No, quando mai. E la hostess, allora? No, non esiste. No, non è quello il problema. No, ti dico. Non c’entra. Non ha cambiato gusti, no. Sicuro sì, sicurissimo. Si depila perché ormai è fissato. Va pure in palestra. Non me lo ricordo come si chiama, una palestra qua vicino. Sì, appena giri l’angolo. Quando torna dalla palestra attacca col gel e col silkepil. Sento il rumore da fuori la porta del bagno. Che ne so che gli è successo. Ha questa smania di piacere, si vede. Comunque, forse è meglio se ti anticipo anche l’altra novità. Sì, ce n’è un’altra. No, non è finita qua. Certo che non te lo volevo dire, lo vedi come fai? E ora invece te lo dico, sì che te lo dico. Perché altrimenti quando lo vedi ti piglia un colpo. Però se non la finisci non parlo, giuro. Si è fatto un piercing. Dai, però. Non fare così, che mi fai sentire male. Dai, avanti. Sul sopracciglio. Sì, visibilissimo. Per non vederlo devi essere cieco. D’argento. Uno spillo. Bello grosso. Che significa come gli sta? Pare un deficiente, come vuoi che gli stia? Esatto. Capita anche nelle migliori famiglie. E noi non siamo neanche una delle migliori, quindi figurati un poco. No, non è una critica. A criticare sei più brava tu. Imbarazzante è dire poco. Mi vorrei nascondere, guarda. Ma tu ci pensi a che incubi faccio? Sono due notti che sogno lui e la hostess cannabinoide che si depilano a vicenda dentro allo spogliatoio della palestra. Oppure l’armadio che si apre da solo e io che muoio travolto da una slavina di lenzuola sporche. Mi è successo, sì. Aspetta, stai zitta un attimo. Sì, mi pare che sia lui. Sì, sì, sta rientrando, mannaggia. È qua, sento il rumore del portone. Il tempo di fare le scale. Va bene, guarda, io ora ti saluto, dobbiamo chiudere. Sì, è meglio se chiudiamo subito. Ne riparliamo domani con calma, quando torno. No, no, mamma, non ci provo più a riportarlo a casa. A cinquantacinque anni ormai dove lo vuoi riportare. Lasciamolo qua dov’è che è molto meglio. Senti, guarda che per un figlio è pure peggio, te l’assicuro. Certo che è peggio. Che faccio io? Lo rinnego? Tu sì, tu puoi. Tu lo rinneghi, certo. Io però come faccio? No, nel mio caso non si può fare. Tu divorzi e te ne liberi e basta. Io il suo nome me lo porto dietro per tutta la vita.



Viewing all articles
Browse latest Browse all 2

Latest Images

Trending Articles





Latest Images